Onorevoli Colleghi! - L'esplosione dell'effetto della sindrome della «mucca pazza», ovvero dell'encefalopatia spongiforme bovina (BSE), che ha colpito l'Europa negli anni passati e che ha avuto il suo apice nel corso del 2001, dà modo di ragionare sugli attuali indirizzi produttivi dell'agricoltura e della zootecnia, proprio a partire da alcune riflessioni relative alla malattia. La vicenda nel suo insieme ha dimostrato l'estrema disinformazione dispensata alla popolazione europea, sottovalutando il problema e diffondendo tranquillità mentre si tagliavano i fondi alle ricerche che potevano smentire le voci ufficiali o mentre i ricercatori già temevano il possibile contagio per l'uomo. Nel giugno 1995 si svolgevano conferenze internazionali per spiegare che il pericolo poteva definirsi cessato, eppure erano già presenti i problemi di contagio per l'uomo, poi tragicamente manifestatisi in particolare negli anni 2000 e 2001, con una serie allarmante di morti. L'insegnamento che discende da questa patologia è, in estrema sintesi, quello dell'elevata pericolosità di un sistema di allevamento estremamente tecnologico che non si perita di utilizzare qualsiasi mezzo pur di ottenere il maggior tornaconto possibile.
      I motivi che hanno generato tale patologia vanno infatti cercati proprio nelle trasformazioni indotte nella zootecnia, che ha legato la prosperità al concetto produttivistico, ovvero alla crescita esponenziale dell'aumento della quantità delle produzioni a discapito, alcune volte, della qualità e dei princìpi basilari del controllo igienico-sanitario. Per questa spasmodica ricerca produttiva si sono somministrate

 

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alle bovine lattifere farine proteiche derivate da animali morti. E per motivi meramente di guadagno industriale è stato concesso di diminuire da due ad uno i passaggi nei forni, a minore temperatura, eliminando l'estrazione dei grassi con solventi: l'abbassamento del livello dei trattamenti non rendeva più inattivo l'agente infettante, che così ha potuto contagiare i bovini.
      La BSE ha sottolineato i rischi insiti in un certo mondo produttivo contemporaneo volto esclusivamente alla crescita quantitativa. E proprio questo principio economico è alla base dello sviluppo degli allevamenti industrializzati, necessari per rispondere alle esigenze di sempre maggior produttività a minore costo.
      La situazione della zootecnia italiana vede una presenza di circa 9 milioni di bovini e suini e di svariati milioni di polli, tacchini e conigli. La distribuzione degli animali nelle due tipologie di allevamento si può suddividere in allevamenti tradizionali, ovvero aventi una certa percentuale di terreno, ed allevamenti industrializzati, noti anche come allevamenti «senza terra».
      La situazione presente sul nostro territorio è di una grande concentrazione di animali nel bacino del Po e di una elevata prevalenza di allevamenti industrializzati o «senza terra».
      Gli allevamenti industrializzati configurano una serie di gravi conseguenze. Innanzi tutto il maltrattamento degli animali che è provocato dalla situazione intrinseca; essi sono costretti a vivere in piccoli spazi, perché così si può allevare un maggiore numero di capi con minore spesa (realtà che si ripete sia per i vitelli da latte, sia per i vitelloni, sia per i conigli, i polli e le oche; queste ultime addirittura «inchiodate» al terreno) spesso con luce non naturale e lettiera non idonea. Vi è una costante incuria per le esigenze sociali ed etologiche (separazione precoce dei figli della madre, impossibilità di svolgere attività di interscambio come avviene in natura tra animali che convivono, impossibilità anche di accudirsi, toelettarsi, eccetera). A tutto ciò si devono aggiungere i trattamenti cui sono sottoposti gli animali con massicce dosi di farmaci, per impedire lo svilupparsi delle malattie che le condizioni di stress possono provocare.
      Inoltre l'allevamento industriale italiano richiede l'importazione di vitelli da altri Paesi (Francia ed Est europeo) con gravi disagi per gli animali che viaggiano per molte ore senza essere nutriti e abbeverati.
      Un'altra grave conseguenza è lo smaltimento delle deiezioni degli animali, in quanto i reflui che si ottengono in alcuni tipi di allevamento (vitelli a carne bianca, suini) costituiscono il liquame, miscela di acqua e feci, i cui elementi nutritivi sono troppo diluiti per poter svolgere una efficace azione fertilizzante ma rimangono altamente inquinanti ed arricchiscono il terreno di nitrati e nitriti, che possono passare nelle falde acquifere. Gli allevamenti della pianura padana producono deiezioni pari ad una popolazione umana di oltre 120 milioni di individui (che si sommano all'inquinamento prodotto dai milioni di esseri umani che qui vivono) e concorrono all'inquinamento dell'Adriatico per almeno il 14 per cento. Ed un altro 20 per cento è dovuto dall'agricoltura, gran parte della quale è al servizio del settore zootecnico. Un suino adulto è in grado di inquinare da 4 a 6 metri cubi di acqua al giorno.
      L'allevamento industriale configura inoltre un vero spreco energetico dovuto al fatto che per produrre un chilogrammo di carne un bovino consuma almeno 11 chilogrammi di mangime, 5 chilogrammi un suino, 4 chilogrammi un coniglio e circa 3 chilogrammi un pollo. I cereali con cui si producono i mangimi utilizzano molte risorse ambientali: acqua (l'agricoltura consuma circa il 70 per cento di quella utilizzata ed il mais richiede 1.000 tonnellate di acqua per ogni tonnellata di prodotto); concimi biologici (letame) e chimici (che hanno bisogno a loro volta di materie prime ed energia per la loro produzione), prodotti petroliferi per le macchine agricole. Ogni ettaro di mais, ad esempio, richiede 90
 

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chilogrammi di prodotti chimici (diserbanti, pesticidi, concimi).
      Né si possono negare i rischi per i consumatori, derivanti da questo tipo di zootecnia, rischi che sono legati alle sostanze che gli animali introducono con l'alimentazione o con i trattamenti cui sono sottoposti (anabolizzanti, ormoni, antibiotici, antiparassitari). Gli anabolizzanti (ormoni e beta agonisti), se riescono a sfuggire ai sistemi di controllo, possono restare nelle carni e venire consumati dall'uomo con gravi conseguenze: si ricordano ancora gravi casi avvenuti negli anni sessanta, problemi di intossicazione dovuti ai beta agonisti, sostanze molto usate, registrati in Spagna, Francia ed anche in Italia. In Italia nell'agosto del 1996 vi è stato un caso di intossicazione collettiva per il quale ben sessantadue persone sono state costrette a ricorrere alle cure ospedaliere, nel napoletano. Il problema dei residui di queste molecole va esaminato anche alla luce dei recenti studi sull'azoospermia dei maschi umani conseguente ai residui degli ormoni della pillola che ritornano in circolo. Questa ipotesi dovrebbe preoccupare moltissimo, in quanto i residui delle cure «ormonali» degli animali sono molto più abbondanti quantitativamente, perché le somministrazioni agli animali sono sicuramente più elevate.
      Tra i vari tipi di allevamento merita un cenno di particolare attenzione, per la crudeltà che prefigura nei confronti degli animali, l'allevamento del vitello a carne bianca, detto anche sanato, lattone, vitella, eccetera. Questo tipo di allevamento rappresenta un maltrattamento per gli animali, allontanati dalla madre a pochi giorni di età (3-15); i vitelli affrontano viaggi anche di quarantotto ore senza alimentazione e trascorrono sei mesi di vita in un piccolo box (60 centimetri di larghezza), alla catena, impossibilitati a muoversi; sono nutriti esclusivamente con latte ricostituito, dieta carente di ferro e antifisiologica in quanto li porta ad utilizzare uno solo dei quattro stomaci naturali: immobilità forzata e dieta lattea priva di ferro sono i mezzi necessari per fare restare le carni anemiche e quindi pallide («bianche»).
      Il vitello a carne bianca è inoltre un rischio per la salute umana, in quanto la condizione di continuo stress per l'impossibilità di soddisfare i bisogni etologici e fisiologici e le carenze alimentari inducono una immuno-depressione tale da rendere indispensabile l'uso massiccio di farmaci per evitare forme patologiche; per ottenere inoltre incrementi innaturali di peso (fino a 300 chilogrammi in sei mesi contro 200 che si raggiungerebbero con altri sistemi di allevamento) i vitelli sono sottoposti a trattamenti con promotori della crescita quali ormoni e beta agonisti; i residui di questi farmaci possono restare nella carne e causare forme di intossicazione o danni a lungo termine al consumatore. Le indagini effettuate dai servizi veterinari delle aziende sanitarie locali piemontesi, dove questi controlli sono particolarmente curati, hanno evidenziato negli anni passati una percentuale di allevamenti con animali che avevano presenza di residui di sostanze ormonali o ormono-simili variabile dal 51 al 78 per cento del totale degli esami fatti, quando la percentuale degli allevamenti raggiunge appena il 5 per cento del totale.
      Questo tipo di allevamento rappresenta una produzione poco efficiente poiché spreca più risorse rispetto a quello che rende; infatti si macellano vitelli giovani di sei mesi che hanno un pessimo rendimento energetico (cioè il rapporto tra cibo introdotto ed accrescimento corporeo) rispetto ad un bovino adulto.
      Infine, vi è un problema sociale, poiché il traffico di prodotti illegali alimenta un giro multimiliardario a vantaggio esclusivo di pochi, mentre le conseguenze in termini di costi e salute sono pagate da tutti (controlli, disinquinamenti, cure, eccetera).
      Più in generale, poi, bisogna valutare come gli enormi interessi economici relativi al comparto zootecnico suscitano gli interessi di speculatori di ogni tipo, che possono utilizzare le strutture industrializzate per investire rilevanti cifre economiche anche di dubbia provenienza.
 

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      Per tutti questi motivi appare necessario regolare il sistema dell'allevamento per rispondere alle insopprimibili esigenze di garantire il benessere agli animali e, nello stesso tempo, di tutelare la salute dei consumatori, perché animali allevati in modo più rispondente alle loro esigenze etologiche e fisiologiche saranno più sani ed avranno quindi bisogno di minori cure terapeutiche. Inoltre allevamenti più a «misura di animali» saranno sicuramente anche meno inquinanti nei confronti dell'ambiente.
      Per quanto riguarda il benessere degli animali va ricordato che l'articolo 544-ter del codice penale sancisce tra l'altro che sia punito chiunque «sottopone [un animale] a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche ecologiche». In questo senso, molti allevamenti sembrano già aver oltrepassato il confine che separa l'allevamento dallo sfruttamento con sistemi innaturali e crudeli.
      La presente proposta di legge nasce quindi dall'esigenza di garantire agli animali d'allevamento condizioni di vita più rispondenti alle loro esigenze etologiche, fisiologiche e comportamentali, anche recependo gli insegnamenti provenienti dagli studi scientifici in materia. Tali studi riferiti agli animali domestici oggetto di allevamento pongono in risalto l'importanza della qualità dello spazio a disposizione e il sistema di alimentazione.
      Tra le principali cause di malessere per gli animali d'allevamento, gli studi etologici hanno individuato l'insufficiente spazio a disposizione e una superficie del pavimento troppo dura, condizioni che inducono uno stato di sofferenza nell'animale, dimostrato dalla maggiore permanenza in posizione eretta del soggetto; quando, al contrario, lo stato di benessere si manifesta con la persistenza nella posizione sdraiata. Per ovviare a questo tipo di malessere la presente proposta di legge stabilisce che gli spazi a disposizione siano dimensionati in maniera conveniente per le diverse specie allevate e che le loro superfici siano ricoperte da idonea lettiera.
      È stato anche dimostrato come un'altra causa di malessere per gli animali possa essere costituita da un tipo di alimentazione troppo lontano dalle loro abitudini ereditate geneticamente; anche in questo caso la proposta di legge stabilisce le norme di base per una alimentazione fisiologicamente ed etologicamente corretta. Stabilisce inoltre che non vengano effettuati sugli animali interventi traumatizzanti, mutilanti o contrari alla loro natura.
      La proposta di legge non abolisce gli allevamenti intensivi ma li rende più compatibili e rispettosi delle esigenze degli animali. Misure, quelle che proponiamo, che guardano agli animali come esseri sensibili, non più come macchine, in attesa di un futuro che assicuri loro pienamente quella naturalezza di vita che è oggi negata loro.
 

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